Storie ticinesi e testimonianze di padri divorziati

Storia di Daniel

Oltre un anno fa trovai pubblicata sul sito “ticinonline” la storia di Daniel, padre ticinese che dopo aver divorziato si ritrovò sul lastrico a causa della sentenza prodotta da un pretore ticinese (leggi l’articolo originale, pubblicato sul sito ticinonline). Pensai che questo signore avesse “ingigantito” la sua storia, che avesse volutamente esagerato per “far notizia”. Purtroppo scoprii in seguito a mie spese che tutto quanto lui scrisse corrispondeva al vero, che la realtà del divorzio “alla ticinese” fosse proprio quella poiché anche nel mio caso la sentenza che ricevetti fu simile alla sua!

Su questa pagina riporto la storia di Daniel:

“Il divorzio mi ha ridotto sul lastrico. Lo Stato mi aiuti a tornare a vivere”

La storia di un uomo disperato. Senza lavoro e indebitato fino al collo, a causa di una sentenza, a suo dire, terribilmente ingiusta. Da 12 anni lotta per avere un rapporto normale con il figlio 15enne. L’ex moglie ha tentato di portargli via anche quello

LUGANO – “In Ticino un padre che divorzia in maniera burrascosa finisce sul lastrico”. A sostenerlo è Daniel, un 48enne ticinese che da 12 anni lotta per suo figlio e contro una sentenza, a suo dire, terribilmente ingiusta. Oggi, dopo avere perso il lavoro, è in assistenza e vive con circa 16 franchi al giorno. E con lo Stato che lo attende al varco: appena troverà lavoro verrà pignorato. Il fatto di dover versare alla ex moglie una cifra esagerata per gli alimenti e la conseguente serie di scelte professionali sfortunate l’hanno fatto precipitare in una situazione finanziaria disastrosa. “A penalizzarmi – spiega – è stato sia l’atteggiamento opportunistico della mia ex moglie, sia quello disinteressato delle istituzioni. Ora chiedo allo Stato di darmi l’opportunità di ricominciare a vivere degnamente e di non trattarmi più come un delinquente”.

L’inizio dell’incubo – Gennaio 1997. Tra Daniel e sua moglie, una donna straniera, che vivono in un appartamento del bellinzonese, le cose non vanno più bene. “Lei voleva avere il controllo su tutto – precisa Daniel -. Oggi sono sicuro che mi ha sposato solo per migliorare la sua situazione personale”. Un mattino, in cucina, Daniel manifesta alla donna il desiderio di mettere a posto le cose, anche per il bene del figlio, che in quel momento ha due anni. “Le ho detto – ricorda – che ero preoccupato e che di questo passo avremmo finito per divorziare. Lei ha replicato: “allora divorziamo”. Non mi ha mai spiegato le motivazioni di questa risposta. Mai”.

Quel maledetto gesto spontaneo – Dopo avere lasciato la casa ed essersi dimostrato disponibile in tutto e per tutto, Daniel decide di sua spontanea volontà di versare mensilmente alla donna oltre 3mila franchi. “Ero sicuro – confessa – che dopo l’emergenza iniziale, in breve tempo avremmo stipulato una convenzione e che la cifra si sarebbe ovviamente abbassata”. Il pretore in seguito conferma che, in attesa della sentenza, Daniel dovrà versare alla moglie 2950 franchi al mese. “Mi sono pentito più volte di avere fatto quel gesto spontaneo – sbotta Daniel -. Soprattutto non immaginavo che la sentenza di divorzio sarebbe stata pronunciata solo 7 anni dopo. Lei ne ha approfittato e ha sempre preteso quella cifra anche quando conviveva con un’altra persona”.

Passano gli anni – La moglie di Daniel non accetta di andare a lavorare e, soffrendo di un disturbo, cerca di ricevere l’invalidità. Invano. Nel 2000 cambia la legge sul divorzio e sparisce il concetto di colpa. “Da quel momento – spiega Daniel – al pretore non interessa più quali colpe stanno alla base del divorzio. E la procedura diventa unicamente una questione legata agli alimenti. La mia ex moglie sapeva che nel 2000 sarebbe cambiata la legge e ha temporeggiato. Così oggi io non conosco ancora le motivazioni profonde che hanno spinto mia moglie a chiedere il divorzio. Il suo atteggiamento comunque mi ha fatto capire che lei voleva sfruttare al massimo le lacune della legge e approfittare della mia disponibilità”.

Le difficoltà per vedere il figlio – Daniel scrolla la testa, mentre racconta il rapporto con suo figlio. “È un ragazzo meraviglioso – dice – oggi ha 15 anni. La mia ex moglie ha fatto di tutto per rendermi un estraneo di fronte agli occhi del ragazzo. Ad esempio nei sabati in cui nostro figlio usciva con me gli imponeva di rientrare entro le 17.30. Il fatto è che lei ha sempre approvato il diritto di visita allargato davanti al giudice. Poi, fuori dall’aula faceva ciò che voleva”. Per un certo periodo, tra il 2005 e il 2006, Daniel lavora oltre Gottardo. “Facevo mille chilometri per vedere nostro figlio – conferma -. Ma la mia ex moglie non mi è mai venuta incontro. Spesso preferiva affidarlo a vicini, piuttosto che a me. E pensare che io con lui ho un bellissimo rapporto”.

Tensione alle stelle – Fino a dicembre 2002 la donna riceve 2950 franchi al mese da Daniel per gli alimenti. Lui, tuttavia, è ancora in attesa della sentenza definitiva. “Speravo che le autorità prendessero una decisione equa – dice il 48enne -. Io ho sempre ritenuto giusto pagare degli alimenti a mio figlio. Ma non alla mia ex moglie. Dal 2001 ha convissuto con un’altra persona. Anche se lei lo ha sempre negato. Inoltre, pur avendone la possibilità, non ha mai voluto lavorare. Diceva che doveva occuparsi del figlio. E questo pur sapendo che io come padre ero disponibilissimo”. Nel 2003 Daniel, che nel frattempo è diventato indipendente, resta a piedi con il lavoro. E quindi per diversi mesi non riesce a versare alla moglie gli alimenti.

Sentenza shock – Nel 2004 arriva la decisione del giudice della pretura di Bellinzona. “Non è cambiato nulla – ammette Daniel -. Avrei dovuto continuare a versare 2950 franchi al mese. Nonostante io avessi più volte parlato della convivenza della mia ex moglie, o del fatto che non riuscivo ad arrivare alla fine del mese, nessuno mi ha ascoltato. Ero disperato. Dal 2005, per sopravvivere, sono stato costretto a pagare solo una parte degli alimenti. Sono finito in depressione per questa storia”.

Il paradosso – Nei periodi in cui Daniel non ha pagato è stato lo Stato ad anticipare gli alimenti alla donna. “Adesso – sospira Daniel – lo Stato pretende indietro questi soldi dal sottoscritto. Ma io sono ridotto sul lastrico. Da oltre un anno sono in assistenza”. C’è, tuttavia, un paradosso in tutta questa storia. “Quel poco con cui vivo ora – conferma Daniel – è comunque sempre di più del saldo netto con cui vivevo quando lavoravo. Prima pagavo la cassa malati, avevo le spese per i pasti di lavoro e per gli spostamenti in auto, dovevo pagare le imposte…” Adesso tutte queste spese, essendo in assistenza, Daniel non le ha più. E lo Stato non può pignorarlo perché lui attualmente va avanti con il minimo vitale. “A questo punto potrebbe sembrare a chiunque che sia meglio stare in assistenza – conclude – . Mi viene quasi da pensare che rinunciare subito a qualsiasi lavoro sarebbe stata l’unica soluzione per evitare di indebitarmi. Io vorrei tanto tornare a lavorare. Vorrei soprattutto tornare ad avere una vita sociale. Ma so che verrei subito pignorato dallo Stato. Mi trovo in un vicolo cieco”.

Articolo apparso il 12 dicembre 2009 su “ticinonline“, a cura di Patrick Mancini

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