Storie ticinesi e testimonianze di padri divorziati

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Capitolo 16 – Del bene del minore

Il_bene_dei_figliA distanza di oltre un anno ritengo opportuno pubblicare qualche aggiornamento, soprattutto per coloro che, frequentando da poco il blog, credono che questo sia “morto”. Il blog gode di ottima salute (visite regolari), sebbene da tempo non venga pubblicato nulla di nuovo.
L’occasione è propizia per ringraziare anche tutti coloro (uomini e donne!) che mi hanno contattato senza voler apparire sulle pagine del blog (soprattutto per paura di ritorsioni!) per raccontarmi delle ingiustizie da loro subìte in occasione di separazioni e divorzi.

Quello che più mi ha sorpreso sentendo i vari racconti è però il modo di agire di pretori e giudici che, invocando “il bene del minore” emettono sentenze che vanno proprio contro il bene del minore! Come queste persone possano ancora riuscire ad addormentarsi serenamente la sera e guardarsi nello specchio tutte le mattine nonostante consapevolmente facciano soffrire tanti bambini, non riesco proprio ad immaginarlo.
Scrivo “consapevolmente” perché non riesco neppure ad immaginare che un pretore o un giudice non si renda conto delle conseguenze delle proprie sentenze (altrimenti non sarebbe in grado di svolgere i compiti che la sua carica gli impone). Questi personaggi dovrebbero essere persone colte visto gli studi effettuati… ma un dubbio mi assale: nel curriculum formativo di un avvocato (perché è questa la loro formazione) sono incluse delle basi di psicologia? Ad ogni modo constato che non sappiano neppure cosa sia l’empatia: ho sentito di bambini sottratti a un genitore (o anche ad entrambi, per essere poi affidati a istituzioni o sconosciuti) o addirittura -al contrario- di bambini obbligati controvoglia a stare o recarsi presso un genitore violento, alcolizzato o perfino drogato!
Personalmente voglio evitare questo tipo di sofferenza a mia figlia, quindi evito opportunamente di denunciare le mancanze riguardo il diritto di visita.

Ad ogni modo qualcosa accomuna quasi tutte queste storie: dispetti, cattiverie, ricatti, vendette e odio. In una società che si ritiene cristiana, cattolica o riformata poco importa, questi comportamenti non dovrebbero neppure esistere! Il messaggio del cristianesimo è questo: -“Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi.” Giovanni 15,12 (Testo CEI 2008)

Ribadisco come nell’attuale società manchino amore, lealtà, sincerità, rispetto e, soprattutto, buon senso!

Ottobre 2011:
Eccomi giunto al momento in cui mi ritrovo a non poter più pagare tutto quanto mi viene chiesto… i soldi che avevo da parte sono finiti, le fatture arrivano inesorabilmente e le entrate non sono ancora sufficienti… decido quindi di lasciare da parte, oltre il rimborso del prestito di studio e i relativi interessi, gli alimenti per mia figlia, le fatture giunte dalle imposte e dalla cassa malati. Sono in arretrato di 2 mesi con l’affitto, ma ho pagato tutti i fornitori (altrimenti mi ritroverei presto impossibilitato a continuare la mia attività, che dovrebbe cominciare a portare entrate dal 2012).

Arriva una lettera raccomandata dall’ufficio che si occupa di anticipare gli alimenti nella quale, come da prassi, mi si chiede se ci sono dei validi motivi per non versare più gli alimenti a mia figlia. Rispondo spiegando che ho sempre pagato tutti gli alimenti (anche più di quanto previsto sulla sentenza in vigore), ma che da qualche mese non ho più liquidità e l’attività indipendente da poco intrapresa non porta (ancora) i frutti sperati. Chiedo in quale modo venga tenuto conto del fatto che durante gli ultimi 2 anni, ho versato oltre 8’500.- in più di quanto previsto dalla sentenza, ma non ottengo alcuna risposta (in seguito saprò che quanto pagato “in troppo” è da considerarsi “legalmente perso”).

Gennaio 2012:
Dopo quasi 3 mesi ricevo una nuova lettera raccomandata, la quale mi impone di versare i soldi unicamente al loro ufficio. Mi si rende attento al fatto che ogni versamento direttamente pagato alla mia ex, da quel momento, sarà ritenuto come non avvenuto. Mi viene imposto di pagare gli alimenti secondo l’importo della vecchia sentenza (l’unica giuridicamente valida), ossia 200.-/mese in meno di quanto versai fino a quel momento. Mi venne pure comunicato di presentarmi presso il loro ufficio per un colloquio personale.

Febbraio 2012:
Durante il colloquio personale, che si svolse in maniera molto amichevole, mi comunicarono che, vista la possibilità di fare richiesta di assistenza alla cassa disoccupazione (erano trascorsi meno di 12 mesi da quando mi misi in proprio), sono tenuto per legge* a iscrivermi per ricevere tali indennità, in caso contrario sarei perseguibile penalmente per “trascuratezza di obblighi nei confronti del minore” (Art. 217.1 CPS). Spiego le varie ragioni (anche di salute) per cui ho deciso di lavorare in modo autonomo, ma vengo cortesemente e fermamente invitato ad adeguarmi alla legge*, andando ad iscrivermi all’ufficio regionale di collocamento. Mi viene spiegato che questo è un obbligo* per evitare la denuncia penale che verrebbe fatta d’ufficio in caso contrario (secondo l’Art. 217.2 CPS). In pratica secondo questo ufficio devo* procedere come spiegato per evitare le gravi sanzioni previste dalla legge. Mi viene anche spiegato che l’assurda “nuova” sentenza al momento “non c’è, non esiste” (visto che ho inoltrato ricorso al tribunale d’appello) e quindi di non crucciarmi né “fasciarmi la testa prima di averla rotta”. Mi viene comunicato che al momento devo quindi versare Fr. 460.-/mese e ho 5 mesi di arretrati: ne prendo atto.
Lascio volutamente ai lettori il compito di valutare come la mia ex si sia “tirata la zappa sui piedi” avendo voluto introdurre nei nostri rapporti avvocati, pretori e giudici nonché “la giustizia” ticinese. Abbiamo perso tutti, ma chi ha perso di più è evidentemente nostra figlia, altro che “bene del minore”!

* Nei giorni successivi mi venne comunicato che l’ufficio anticipo alimenti, per gli indipendenti, usa per prassi l’intimidazione a cessare l’attività indipendente qualora ci siano problemi a pagare gli alimenti, in quanto per loro in questi casi è molto più difficile recuperare i soldi anticipati.

Ecco, ancora una volta mi viene confermato che nei casi di divorzio tutto ruota solamente e unicamente attorno ai soldi! Forse secondo questi “operatori” l’amore è qualcosa che si può comprare… questo spiegherebbe da solo perché nel nostro Cantone i locali con le “artiste” siano così redditizi (ma attenzione: amore, prostituzione e sesso non sono sinonimi)!

A questo punto, mio malgrado, mi adeguo e il giorno successivo mi presento per l’iscrizione all’URC e alla cassa disoccupazione. In entrambi i casi spiego che sono stato obbligato e che la mia intenzione è quella di continuare con l’attività indipendente. Mi vengono consegnati svariati formulari da riempire e mi viene fissato un appuntamento per 2 giorni dopo.

Mentre torno a casa inizio a percepire quei sintomi che ho imparato a conoscere in occasione dell’inizio di burnout del 2010 e capisco che tutto questo sta creandomi un grosso disagio psicologico che si sta manifestando sotto forma di sintomi fisici.

Da oltre 3 mesi non vedo mia figlia. Da novembre 2011 non vuole più né vedermi né sentirmi “finché non pago gli alimenti” -Ricatto?-. Da un lato posso capirla, è in quella fase della vita di per sé già difficile che si chiama adolescenza e chissà cosa le hanno raccontato o casa avrà sentito, ma dall’altro non credo che tale scelta sia tutta “farina del suo sacco”, per cui attendo. Per il momento rispetto la sua decisione, ma regolarmente le comunico (via SMS) che mi manca la sua presenza e che spero stia comunque bene, sperando di rivederla presto.

Inizio a leggere e riempire i formulari che mi hanno consegnato, deprimendomi e pensando ai vari impegni che avrei da svolgere, oltre al tempo e alle energie che sto sprecando…
Fortunatamente in quel momento ricevo una telefonata da un cliente a cui avevo fatto un’offerta per un grosso lavoro e questi mi comunica che mi da’ il mandato: ecco finalmente una buona notizia ma… che fare? Decido immediatamente che questa è l’indicazione che non devo mollare tutto quanto intrapreso negli ultimi 9 mesi: accetto con gioia il mandato e dentro di me comincio a rivivere.
Avverto per correttezza l’URC che non andrò all’appuntamento perché voglio continuare con l’attività indipendente, forte del fatto che ora posso nuovamente far fronte agli impegni finanziari verso mia figlia, cosa che comunico anche all’ufficio anticipo alimenti che prendendone atto mi fa pure gli auguri.
Queste telefonate mi fanno sentire subito meglio: l’impegno e gli sforzi fatti per mesi stanno finalmente portando i primi frutti!

Novembre 2012:
Al momento i mandati arrivano in modo più o meno regolare e mi permettono di vivere. Non riesco però a rimborsare né la borsa di studio né a pagare le tasse e neppure i premi della cassa malati, per cui sono arrivati dapprima i richiami seguiti dai precetti esecutivi, in seguito gli avvisi di pignoramento e ultimamente pure il signore per effettuare il pignoramento.
Siccome il mio stile di vita è molto semplice e non posseggo nulla di valore non ha potuto pignorare nulla, per cui l’ufficio esecuzione e fallimenti ha redatto degli atti di carenza beni. Pagando regolarmente la pensione alimentare per nostra figlia (è la mia priorità dopo la mia stessa sopravvivenza) non posso venir denunciato per “trascuratezza di obblighi nei confronti del minore”.
Al momento sono contento di poter vivere rispettando i ritmi della natura e del mio corpo lavorando in modo professionale e a piena soddisfazione mia e dei miei clienti.

Vorrei segnalare il fatto che nonostante abbia potuto riprendere a pagare regolarmente gli alimenti per nostra figlia, questo non ha a tutt’oggi contribuito a migliorare le cose con lei: nonostante le abbia più volte chiesto di rivederci, non ho ottenuto alcun riscontro positivo. Se non volermi più vedere né sentire fosse quello che realmente vorrebbe, rispetterei la sua decisione per il suo bene (se lei fosse felice così lo sarei anch’io) nonostante questo mi rattristerebbe, ma data la sua età e conoscendo le capacità manipolatrici di sua madre immagino che le cose siano ben più complicate di così (ne parlerò nel prossimo capitolo).

Visto il periodo, dovrei forse scrivere una letterina a Gesù Bambino nella quale chiedo come regalo di Natale di poter vedere e parlare un po’ con mia figlia? Si dice che la speranza sia l’ultima a morire… speriamo!

Conclusione: del “bene del minore” in realtà non importa niente a nessuno, se non forse a chi vuole loro bene veramente: a chi vuole il loro bene!

Capitolo 14 – L’assurda sentenza emessa dal pretore, avv. Francesco Bertini

Nell’estate del 2010, dopo il riposo impostomi dal medico per l’inizio di “burnout”, mi sentii meglio e mi illusi che cambiando azienda e accettando un lavoro meglio remunerato avrei potuto finalmente vivere in modo tranquillo. Avrei potuto pagare gli alimenti che la “giustizia” ticinese mi avrebbe condannato a pagare (già, giuridicamente si tratta di una condanna) e rimborsare i vari debiti, assicurandomi nel contempo una riserva per la vecchiaia continuando ad applicare la strategia spiegata nel capitolo 7 intitolato “Soldi, soldi, soldi, …”.

Siccome fino a quel momento avevo sempre lavorato a completa soddisfazione del mio datore di lavoro, avrei pure potuto contare su un buon certificato di lavoro. Il certificato di lavoro é un’invenzione tipicamente svizzera e non esiste al di fuori dei confini elvetici. In pratica serve solo a tenere “tranquilli” gli impiegati; é una specie di “certificato di buona condotta”. Spesso è pure codificato, in modo da comunicare giudizi sulla persona (non comunicabili per legge) a coloro che lo leggeranno in futuro. Per decifrarlo bisogna evidentemente conoscerne la chiave di decodifica, di solito riservata agli “iniziati” (impiegati che lavorano nel settore delle risorse umane).

Cercai e trovai un impiego nella periferia di Zurigo (nel canton Argovia), traslocai nuovamente (generando quindi altri costi) e ottenni uno stipendio che, dedotto l’affitto (molto più caro in quella regione!) e le spese per recarmi al posto di lavoro, mi avrebbe permesso di versare fino ad un massimo di ca. Fr. 1’400.-/1’500.- mensili per nostra figlia. Secondo le tabelle di Zurigo 2009 il fabbisogno di nostra figlia era di 1935.-/mese, per cui credetti di potercela fare. Siccome dedotto l’assegno figli sarebbero restati 1735.- da coprire, 1’400.-/1’500.- a carico mio (ingiusto, però con il nuovo stipendio la cosa sarebbe stata fattibile) e soltanto 235.-/335.- a carico della mia ex mi illusi che tutto si sarebbe sistemato.

A gennaio 2011 fui assunto quale “Product Manager” (non era il lavoro dei miei sogni, ma era ben pagato) e dopo i fatidici 3 mesi di prova l’azienda mi confermò il posto, ma con riserva: mi si rese attento al fatto che la situazione monetaria internazionale era difficile e che se le ordinazioni fossero ulteriormente diminuite l’azienda avrebbe dovuto cambiare strategia e il mio posto sarebbe stato soppresso. Ero stato assunto perché l’azienda nel 2010 aveva ricevuto più ordinazioni, il lavoro era aumentato e l’azienda sperava che la ripresa economica e il buon andamento delle ordinazioni continuasse anche in futuro.

Aprile 2011 fu uno fra i mesi più “neri” che ricordo: ricevetti infatti l’assurda sentenza del pretore, avv. Francesco Bertini, come pure la lettera di licenziamento dall’azienda. Il mondo mi crollò addosso e mi resi conto che tutti gli sforzi fatti fino a quel momento divennero improvvisamente vani. In un mese mi ritrovai senza lavoro e con una cifra assurda da versare tutti i mesi. Da buon ingenuo a fine aprile versai Fr. 1’660.- di alimenti (come stabilito dalla sentenza), ma in seguito seppi che non avrei dovuto in quanto la sentenza non era ancora definitiva e avevo la possibilità di ricorrere al Tribunale d’Appello (cosa che feci puntualmente).

Nonostante tutta la mia buona voglia, capii che comunque fosse andata non ce l’avrei più potuta fare! Vissi un periodo “nero”, provando nuovamente quelle sensazioni che ormai avevo imparato a conoscere: i sintomi dell’esaurimento/depressione. Insomma, provai una grande frustrazione per essermi illuso di potermi rifare una vita, di potermi sistemare finanziariamente per poter offrire un futuro migliore a nostra figlia; per esempio per poterle pagarle gli studi dopo le scuole dell’obbligo se avesse deciso di continuare gli studi (cosa che mi ha comunicato intenderebbe fare). Avevo deciso di fare dei sacrifici per il bene futuro di nostra figlia, anche se a scapito della frequenza dei nostri incontri (partire dal Ticino ha ridotto l’interazione con mia figlia a 2 soli incontri al mese e 1 telefonata settimanale, non sempre), ma qualcuno -con il beneplacito della legge- ha deciso di distruggere qualsiasi mio tentativo di miglioramento per il futuro. Che ignoranza! La regola del “tutto e subito, senza sforzo” sembra essere lo standard di certa gente che non vede a 3 dita dal proprio naso!

A quel punto capii che la vita di “lavoratore pendolare” fra la Svizzera interna e il Ticino non avrebbe portato i frutti sperati e siccome non ero disposto a continuare a far sacrifici inutilmente volli tornare in Ticino; più vicino alla mia famiglia, a mia figlia e ai miei amici, per cui decisi di rimettermi a lavorare per conto mio. I ritmi di lavoro imposti dalle grosse aziende mi avevano stancato e esaurito (e comunque in futuro non sarebbero serviti a nulla in quanto mi sarei ritrovato ben presto “fallito” economicamente), quindi decisi di rallentare e fare le cose a un ritmo più “umano”. Sono stato un lavoratore indipendente per quasi tutta la mia vita lavorativa e la possibilità di organizzarmi “a modo mio” mi mancava troppo. Ero disposto a fare sacrifici perché c’era un fine (il miglioramento della mia situazione economica precaria), ma non sono disposto a fare sacrifici senza alcuna possibilità di migliorare una tale situazione.

Come si può leggere nella sentenza del 4 aprile, fui condannato a pagare una cifra ben più grande di quella definita dalle tabelle di Zurigo perché il pretore, avv. Francesco Bertini, per me (grazie pretore!) aumentò pure le poste “affitto” (come se gli affitti in Ticino fossero più  cari che a Zurigo!) e “scuola” (già, perché la scelta unilaterale della mia ex riguardante la scuola privata é stata da lui accettata dicendo che “giova pure al padre”, visto che in caso contrario mia ex moglie non avrebbe potuto lavorare al 100%…) giungendo alla conclusione che nostra figlia aveva bisogno di Fr. 2’413.- mensili. Zurigo é la seconda città al mondo più cara, ma secondo il pretore, avv. Francesco Bertini, i figli di divorziati ticinesi che abitano nella città di Locarno necessitano di più soldi dei figli di divorziati zurighesi; per questo ho definito la sua sentenza completamente assurda!

Scoprii in seguito dal mio avvocato che se si fosse saputo del mio nuovo lavoro e stipendio, la cifra da versare per gli “alimenti” di nostra figlia sarebbe ulteriormente salita (!!??!!). Ma stiamo scherzando? Qualsiasi cifra un padre ticinese divorziato possa guadagnare (eccettuati forse gli stipendi oltre i Fr. 10-12’000.-/mese), resterà sempre e solo con il “minimo vitale”, in quanto la “giustizia” ticinese lo condannerebbe a pagare sempre di più, ben oltre le tabelle di Zurigo! Per il calcolo di quanto spetta al padre si adottano le tabelle LEF, per i suoi figli invece le Tabelle di Zurigo. Ma dov’è il principio di equità di trattamento?

Prima di accettare come “giusta” la decisione della “giustizia” ticinese, esigo che questa venga resa equa! A che serve altrimenti a un padre divorziato lavorare, se qualsiasi cosa egli faccia si ritroverebbe sempre e comunque povero, ridotto a dover campare con il “minimo vitale”?