Storie ticinesi e testimonianze di padri divorziati

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Capitolo 14 – L’assurda sentenza emessa dal pretore, avv. Francesco Bertini

Nell’estate del 2010, dopo il riposo impostomi dal medico per l’inizio di “burnout”, mi sentii meglio e mi illusi che cambiando azienda e accettando un lavoro meglio remunerato avrei potuto finalmente vivere in modo tranquillo. Avrei potuto pagare gli alimenti che la “giustizia” ticinese mi avrebbe condannato a pagare (già, giuridicamente si tratta di una condanna) e rimborsare i vari debiti, assicurandomi nel contempo una riserva per la vecchiaia continuando ad applicare la strategia spiegata nel capitolo 7 intitolato “Soldi, soldi, soldi, …”.

Siccome fino a quel momento avevo sempre lavorato a completa soddisfazione del mio datore di lavoro, avrei pure potuto contare su un buon certificato di lavoro. Il certificato di lavoro é un’invenzione tipicamente svizzera e non esiste al di fuori dei confini elvetici. In pratica serve solo a tenere “tranquilli” gli impiegati; é una specie di “certificato di buona condotta”. Spesso è pure codificato, in modo da comunicare giudizi sulla persona (non comunicabili per legge) a coloro che lo leggeranno in futuro. Per decifrarlo bisogna evidentemente conoscerne la chiave di decodifica, di solito riservata agli “iniziati” (impiegati che lavorano nel settore delle risorse umane).

Cercai e trovai un impiego nella periferia di Zurigo (nel canton Argovia), traslocai nuovamente (generando quindi altri costi) e ottenni uno stipendio che, dedotto l’affitto (molto più caro in quella regione!) e le spese per recarmi al posto di lavoro, mi avrebbe permesso di versare fino ad un massimo di ca. Fr. 1’400.-/1’500.- mensili per nostra figlia. Secondo le tabelle di Zurigo 2009 il fabbisogno di nostra figlia era di 1935.-/mese, per cui credetti di potercela fare. Siccome dedotto l’assegno figli sarebbero restati 1735.- da coprire, 1’400.-/1’500.- a carico mio (ingiusto, però con il nuovo stipendio la cosa sarebbe stata fattibile) e soltanto 235.-/335.- a carico della mia ex mi illusi che tutto si sarebbe sistemato.

A gennaio 2011 fui assunto quale “Product Manager” (non era il lavoro dei miei sogni, ma era ben pagato) e dopo i fatidici 3 mesi di prova l’azienda mi confermò il posto, ma con riserva: mi si rese attento al fatto che la situazione monetaria internazionale era difficile e che se le ordinazioni fossero ulteriormente diminuite l’azienda avrebbe dovuto cambiare strategia e il mio posto sarebbe stato soppresso. Ero stato assunto perché l’azienda nel 2010 aveva ricevuto più ordinazioni, il lavoro era aumentato e l’azienda sperava che la ripresa economica e il buon andamento delle ordinazioni continuasse anche in futuro.

Aprile 2011 fu uno fra i mesi più “neri” che ricordo: ricevetti infatti l’assurda sentenza del pretore, avv. Francesco Bertini, come pure la lettera di licenziamento dall’azienda. Il mondo mi crollò addosso e mi resi conto che tutti gli sforzi fatti fino a quel momento divennero improvvisamente vani. In un mese mi ritrovai senza lavoro e con una cifra assurda da versare tutti i mesi. Da buon ingenuo a fine aprile versai Fr. 1’660.- di alimenti (come stabilito dalla sentenza), ma in seguito seppi che non avrei dovuto in quanto la sentenza non era ancora definitiva e avevo la possibilità di ricorrere al Tribunale d’Appello (cosa che feci puntualmente).

Nonostante tutta la mia buona voglia, capii che comunque fosse andata non ce l’avrei più potuta fare! Vissi un periodo “nero”, provando nuovamente quelle sensazioni che ormai avevo imparato a conoscere: i sintomi dell’esaurimento/depressione. Insomma, provai una grande frustrazione per essermi illuso di potermi rifare una vita, di potermi sistemare finanziariamente per poter offrire un futuro migliore a nostra figlia; per esempio per poterle pagarle gli studi dopo le scuole dell’obbligo se avesse deciso di continuare gli studi (cosa che mi ha comunicato intenderebbe fare). Avevo deciso di fare dei sacrifici per il bene futuro di nostra figlia, anche se a scapito della frequenza dei nostri incontri (partire dal Ticino ha ridotto l’interazione con mia figlia a 2 soli incontri al mese e 1 telefonata settimanale, non sempre), ma qualcuno -con il beneplacito della legge- ha deciso di distruggere qualsiasi mio tentativo di miglioramento per il futuro. Che ignoranza! La regola del “tutto e subito, senza sforzo” sembra essere lo standard di certa gente che non vede a 3 dita dal proprio naso!

A quel punto capii che la vita di “lavoratore pendolare” fra la Svizzera interna e il Ticino non avrebbe portato i frutti sperati e siccome non ero disposto a continuare a far sacrifici inutilmente volli tornare in Ticino; più vicino alla mia famiglia, a mia figlia e ai miei amici, per cui decisi di rimettermi a lavorare per conto mio. I ritmi di lavoro imposti dalle grosse aziende mi avevano stancato e esaurito (e comunque in futuro non sarebbero serviti a nulla in quanto mi sarei ritrovato ben presto “fallito” economicamente), quindi decisi di rallentare e fare le cose a un ritmo più “umano”. Sono stato un lavoratore indipendente per quasi tutta la mia vita lavorativa e la possibilità di organizzarmi “a modo mio” mi mancava troppo. Ero disposto a fare sacrifici perché c’era un fine (il miglioramento della mia situazione economica precaria), ma non sono disposto a fare sacrifici senza alcuna possibilità di migliorare una tale situazione.

Come si può leggere nella sentenza del 4 aprile, fui condannato a pagare una cifra ben più grande di quella definita dalle tabelle di Zurigo perché il pretore, avv. Francesco Bertini, per me (grazie pretore!) aumentò pure le poste “affitto” (come se gli affitti in Ticino fossero più  cari che a Zurigo!) e “scuola” (già, perché la scelta unilaterale della mia ex riguardante la scuola privata é stata da lui accettata dicendo che “giova pure al padre”, visto che in caso contrario mia ex moglie non avrebbe potuto lavorare al 100%…) giungendo alla conclusione che nostra figlia aveva bisogno di Fr. 2’413.- mensili. Zurigo é la seconda città al mondo più cara, ma secondo il pretore, avv. Francesco Bertini, i figli di divorziati ticinesi che abitano nella città di Locarno necessitano di più soldi dei figli di divorziati zurighesi; per questo ho definito la sua sentenza completamente assurda!

Scoprii in seguito dal mio avvocato che se si fosse saputo del mio nuovo lavoro e stipendio, la cifra da versare per gli “alimenti” di nostra figlia sarebbe ulteriormente salita (!!??!!). Ma stiamo scherzando? Qualsiasi cifra un padre ticinese divorziato possa guadagnare (eccettuati forse gli stipendi oltre i Fr. 10-12’000.-/mese), resterà sempre e solo con il “minimo vitale”, in quanto la “giustizia” ticinese lo condannerebbe a pagare sempre di più, ben oltre le tabelle di Zurigo! Per il calcolo di quanto spetta al padre si adottano le tabelle LEF, per i suoi figli invece le Tabelle di Zurigo. Ma dov’è il principio di equità di trattamento?

Prima di accettare come “giusta” la decisione della “giustizia” ticinese, esigo che questa venga resa equa! A che serve altrimenti a un padre divorziato lavorare, se qualsiasi cosa egli faccia si ritroverebbe sempre e comunque povero, ridotto a dover campare con il “minimo vitale”?

Della lingua italiana e delle assuefazioni in generale

Mi si è fatto notare come “suoni male” quando, leggendo gli articoli da me pubblicati, il lettore incappa nell’espressione “mia ex moglie”, ossia quando io scrivo la frase omettendo l’articolo “la”. E’ vero, nell’uso comune, quello di tutti i giorni, specialmente nella lingua parlata, si sente spesso dire “la mia ex moglie”, che forse a qualcuno potrebbe anche “suonare meglio”. Ma cosa mi direbbe la stessa persona se dovessi scrivere “la mia moglie” invece di scrivere “mia moglie”? Capite cosa intendo? E’ esattamente la stessa cosa, solo che manca “ex”. Ai tempi delle scuole elementari (per me ormai sono trascorsi ben 35 anni!) mi fu insegnato che si omette l’articolo quando si usa il pronome possessivo, per cui si dice, per esempio, “mia mamma” e non “la mia mamma”.
Un’altra di queste “stonature” entrate nel linguaggio comune è l’uso scorretto del verbo disfare al gerundio: si sente spesso dire “sto disfando (…)”, quando l’uso corretto sarebbe “sto disfacendo (…)”. Coloro che usano la forma sbagliata “disfando” però dicono correttamente “sto facendo (…)” e mai direbbero “sto fando (…)”, quindi, se da un lato c’è poca coerenza, dall’altro c’è molta assuefazione.

Questa dell’assuefazione è una cosa che non colpisce solo la lingua italiana, ma molti altri settori. Per esempio una cosa a cui non facciamo neppure più caso da anni nelle città é l’inquinamento fonico… il rumore. Spesso ci si rende conto dell’assenza di rumore per esempio quando si va in vacanza in zone tranquille e questo desta in alcuni di noi preoccupazione… per taluni il rumore, l’inquinamento fonico, é addirittura tranquillizzante… mentre la tranquillità e il silenzio sono ritenuti inquietanti! Altri esempi dell’assuefazione potrebbero essere l’inquinamento ottico dato dalle luci (e questo fatto crea sempre più difficoltà alla fauna notturna), la quantità di automobili che giornalmente imperversa sulle strade e a cui pochi fanno realmente attenzione (per molti sta diventando “normale” stare fermi in colonna  per ore) o ancora i “boschi” di cartelli pubblicitari “cresciuti” accanto alle strade (e chi li “vede” più?)…

La redazione di questo articolo avviene per me in modo naturale nel discorso generale sul divorzio, ma forse qualcuno si starà chiedendo il perché. In generale si può dire che ci siamo assuefatti al divorzio. Solo 30 anni fa chi aveva i genitori divorziati se ne vergognava; per i ragazzi di oggi avere i genitori divorziati é una cosa “normale”. Quelli che vivono in una famiglia unita sono l’eccezione. La cosa peggiore é però legata all’affido dei figli; cercherò ora di spiegare cosa intendo nel modo più semplice possibile. Da anni ormai in Ticino, in caso di divorzio, si affidano i figli alle madri (genitore affidatario) e si applicano le famigerate “Tabelle di Zurigo” per stabilire quale debba essere l’importo che il padre (genitore non affidatario) debba versare quale “pensione alimentare” per i figli. Che siano le madri a dover allevare i figli e i padri a dover pagare é una cosa a cui ormai i pretori e i giudici ticinesi (ma anche di altri cantoni) si sono talmente assuefatti che é divenuta “prassi corrente” in ogni decisione di divorzio. Ora, che tale modo di procedere venga applicato da decenni senza che pretori e giudici si pongano più alcuna domanda sulla realtà attuale dei divorzi, é un dato di fatto.

In altri cantoni (e in altri stati) viene spesso riconosciuto però anche l’affido congiunto. Ho recentemente visto una trasmissione sulla televisione della svizzera romanda dove, fra le altre cose, si denunciava il fatto che spesso le madri si oppongono a tale richiesta “per motivi finanziari”. Questo documentario (in francese) mostra anche quanto sia difficile per un padre ottenere da pretori e giudici l’affido dei figli, anche se questo è desiderato e richiesto dai figli stessi. Ho la forte impressione che da parte degli addetti ai lavori ci sia un’idea preconcetta, ossia che il padre sia “il cattivo” e la madre sia “la buona”, per cui i figli vanno per forza assegnati alla madre e il padre deve pagare. E’ anche vero che la sindrome da alienazione genitoriale (PAS – Parental Alienation Syndrome*) è spesso una realtà, ma questo può avvenire sia da parte del padre che da parte della madre. Purtroppo però spesso viene diagnosticata e accettata legalmente solo quando i figli chiedono di essere affidati al padre e quasi mai nel caso contrario. Guarda la trasmissione del 1° settembre 2011 (TSR): “Temps présent – Enfants, otages du divorce”.

Ricordo che nel 2000 la legge sul  divorzio é cambiata e il concetto di colpa é andato perso. Se fino a quel tempo gli ex coniugi litigavano per stabilire chi fosse il colpevole del fallimento del matrimonio, oggi gli stessi litigano per stabilire chi terrà i figli e chi, di conseguenza, dovrà pagare. Nessuno si pone più la domanda di cosa sia giusto o sbagliato, di cosa sia realmente meglio per i figli. I pretori e i giudici ticinesi dicono di volere il bene dei nostri figli, ma da anni applicano sempre la stessa prassi (alla mamma l’affido dei figli, ai padri il pagamento della pensione alimentare) e la stessa giurisprudenza in materia (importo della pensione alimentare definito dalle “Tabelle di Zurigo”), incuranti delle conseguenze nefaste causate dalle loro decisioni.

Vista la società odierna, orientata sempre più al materialismo e al consumismo, questo modo di fare non mi sorprende in modo particolare, ma mi preoccupa molto: i figli sono divenuti ormai “moneta di scambio” e vengono contesi fra i genitori che combattono per l’affidamento e quindi per ricevere l’importo della pensione alimentare dal genitore non affidatario (di regola il padre).

Anche le peggiori madri, quelle a cui non interessa assolutamente il bene dei propri pargoli, vogliono ottenere a tutti i costi l’affido dei figli e questo -spesso- solo per una mera questione finanziaria. Queste donne vengono spesso aiutate, se non addirittura spronate da certi avvocati senza scrupoli, a raggiungere il loro fine utilizzando stratagemmi immorali e mentendo spudoratamente (false denunce, ma di questo parlerò in un prossimo articolo). Grazie alla cospiqua cifra degli “alimenti” ricevuti per i figli, molte di queste madri possono permettersi di aumentare il proprio tenore di vita (ricordo che i soldi versati ai figli vengono amministrati dalle madri come a loro pare e piace) e siccome le cifre in gioco sono alte, l’egoismo e l’avidità hanno spesso la meglio sul buon senso e sul bene dei figli!

Che gli importi riportati nelle ormai famose “Tabelle di Zurigo” siano cresciuti in modo completamente sproporzionato alla realtà ticinese, nessuno lo può negare. Che a Zurigo città (seconda città più cara al mondo secondo un recente studio dell’UBS) vengano imposti tali importi é ancora concepibile visti gli stipendi versati ai lavoratori di quella zona, ma che questi importi vengano imposti anche in canton Ticino é proprio fuori luogo! Dico questo perché anche nelle zone periferiche del canton Zurigo e nei cantoni adiacenti gli importi riportati nelle tabelle zurighesi vengono diminuiti in proporzione al reale costo della vita del luogo.

Per il solo fatto che da anni vengono applicati certi parametri e che questo abbia ormai creato una certa qual assuefazione per gli “addetti ai lavori”, non significa per forza che siano equi o giusti! Che per i giovani ticinesi, figli di divorziati, siano “necessari” oltre  2’000.-/mese per vivere é una cosa completamente assurda! Come faranno i nostri figli a sopravvivere il giorno che si ritroveranno a dover vivere con il frutto del loro lavoro? Non credo che tutti i figli dei divorziati ticinesi otterranno una laurea o che tutti potranno svolgere professioni quali ad esempio medico, dentista, direttore/direttrice di grosse aziende o banche, avvocato/a, sportivo/a d’élite o fotomodello/a… e se lo spendere senza ritegno a quel momento sarà per loro divenuto normale, sarà molto difficile che questi nuovi adulti abbiano compreso quale sia il reale valore dei soldi! Educare i figli significa anche spiegar loro come gestirsi finanziariamente, ma forse a qualcuno (quelli che “tirano le cordicelle” dell’economia) va bene che le cose vadano così…

Immagino che sia anche per questi motivi che il politico Lorenzo Quadri abbia inoltrato una mozione parlamentare al consiglio di Stato ticinese e che il movimento papageno stia raccogliendo le firme per inoltrare una petizione ai giudici della prima Camera Civile del Tribunale d’appello di Lugano, entrambe a sostegno della riduzione dei parametri delle “Tabelle di Zurigo”.

* « Un disturbo che insorge quasi esclusivamente nel contesto delle controversie per la custodia dei figli. In questo disturbo, un genitore (alienatore) attiva un programma di denigrazione contro l’altro genitore (genitore alienato). Tuttavia, questa non è una semplice questione di “lavaggio del cervello” o “programmazione”, poiché il bambino fornisce il suo personale contributo alla campagna di denigrazione. È proprio questa combinazione di fattori che legittima una diagnosi di PAS. In presenza di reali abusi o trascuratezza, la diagnosi di PAS non è applicabile » (Da Wikipedia, l’enciclopedia libera).


Tutti mentono

Anche in Ticino tutti mentono!

“La polizia mente. Gli avvocati mentono. I testimoni mentono. Mentono le vittime. Un processo é una gara di menzogne. In aula lo sanno tutti; lo sa il giudice, lo sanno i giurati. Entrano in tribunale consapevoli che verranno raccontate loro solo bugie. Prendono posto al banco e accettano di ascoltarle. Il segreto, se sei seduto al tavolo della difesa, é avere pazienza. Aspettare. Non una bugia qualsiasi, ma la bugia, quella giusta, quella da cogliere e modellare come metallo incandescente per trasformarla in una lama affilata. E con quella lama sventrare il caso, spargendone a terra le viscere. Il mio lavoro é questo: forgiare la lama. Affilarla. Usarla senza pietà e senza scrupoli. Essere la verità in un luogo in cui tutti mentono.”

Questo é il testo del primo capitolo del libro “La lista” di Michael Connelly, scrittore di thriller di fama mondiale. Riassume bene la situazione che si viene a creare quando c’é di mezzo la giustizia, quando a gestire una situazione in tribunale ci sono di mezzo avvocati, pretori e giudici.

Quando lessi questo libro, nel 2010, capii che spesso i libri non sono frutto di sola fantasia; spesso alla base ci sono fatti reali. Leggendo, mi ritrovai a pensare a quanto appreso durante l’infanzia, pensai a quello che i nostri genitori ci insegnarono: “se sei onesto e dici la verità tutto andrà bene, sarai addirittura premiato”. Purtroppo nella mia vita ho dovuto più volte constatare il contrario: più sei onesto, leale e sincero più verrai penalizzato! E questo perché? Forse perché sei l’unico che non si inventa quell’arma, quella famosa lama affilata descritta dall’avvocato Mickey Haller nel romanzo di Michael Connelly, che in seguito servirà per vincere la causa. No, in Ticino anche se un padre dovesse mentire non avrebbe scampo: la legge e la giurisprudenza ticinese sono fatti “a misura di donna”; che quest’ultima sia colpevole o meno non é importante, in ogni e qualsiasi caso in Ticino vincerà lei!

Le storie che potrete leggere su questo blog non sono frutto di fantasia e non sono basate su fatti reali, SONO fatti reali! Fatti incontestabili, accaduti in Ticino in questi anni, fatti che accadono tuttora e che continueranno ad accadere se il canton Ticino non provvederà quanto prima a modificare i parametri con il quali applica la legge sul divorzio nelle preture e nei tribunali ticinesi.

La mia richiesta (e credo anche quella di tutti i padri divorziati ticinesi, ma scrivetemi il contrario se dovessi sbagliarmi) é semplice: giustizia e uguaglianza di trattamento per gli ex-coniugi in caso di divorzio! Non mi sembra di chiedere la luna, esigo però che per calcolare i contributi di mantenimento dei figli ci sia una base di calcolo ticinese, che rispecchi il costo della vita in Ticino. Le cifre utilizzate attualmente sono prese dalle famose “Tabelle di Zurigo“, le quali come denunciato anche da altri, non rispecchiano la situazione ticinese. Attualmente (21 luglio 2011) é stata inoltrata dal deputato leghista Lorenzo Quadri una mozione che chiede al Consiglio di Stato ticinese di adattare tali tabelle alla realtà cantonale ticinese (leggi articolo).

Ora, non so se per pigrizia, incompetenza o altro, le preture del nostro cantone da anni utilizzano come base di calcolo le cifre contenute in queste tabelle e il tribunale d’appello continua imperterrito a confermare tali cifre, condannando di fatto i padri divorziati ticinesi al  fallimento personale. Agli occhi dell’opinione pubblica si delinea poi la figura del “padre cattivo che non paga gli alimenti per i suoi figli”, in quanto la gente comune non é a conoscenza delle ingiustizie intrinseche nell’applicazione della legge sul divorzio nel nostro cantone.

Giunti al punto in cui il padre, ex marito divorziato, dopo aver dato fondo anche agli ultimi sudati risparmi, a causa di una sentenza totalmente ingiusta emessa dal boia (pretore o giudice), i quali agiscono su mandato del carnefice (il canton Ticino) non ce la fa più e fallisce. Dopo averti spogliato di tutto, il cantone interviene nuovamente, ora però in veste di buon samaritano, a pagare al posto tuo 700.-/mese per figlio (ma tu avresti dovuto versarne oltre il doppio!), a darti un alloggio e un’assistenza economica (in pratica ti mantiene, ma tu diventi di fatto un suo schiavo!).

Se questa sia “giustizia” lo lascio definire a voi; a me non sembra proprio una cosa giusta!